Double Twelve

Gennaio2012

Gennaio
Iniziare l’anno con la musica house, vecchi pensieri in testa, un cappello colorato ed un biglietto aereo in tasca, pronto per essere usato. Parigi, il sogno tanto atteso. Il primo viaggio in aereo. I trent’anni e la Ville Lumière. La fermata del metrò Miromesnil, sentirsi male per la calca e la stanchezza, vomitare sulla sciarpa, fedele compagna. I profumi di burro e di baguette nell’aria, la colazione da Ameliè e la baguette mangiata a due passi dal muro dei Ti Amo. Salire sulla Tour Eiffel, battere i denti per il freddo, prepotente e pungente, e ammirare la città dall’alto. Les Bateaux Mouches e Notre Dame de Paris nella sua maestosa bellezza. Le point-zerò e camminarci sopra più e più volte, col desiderio di tornarci, come da leggenda. Ritornare a casa – anche se la casa qual è? – più innamorata che mai, col desiderio di tornare per vedere quello che non ho visto, veder meglio ciò che ho visto e perdermi nuovamente tra le strade di Montmartre, dove credo che sia rimasta una parte del mio cuore.

Febbraio2012

Febbraio
Le mie rivoluzioni farlocche non fanno altro che lasciarmi ferma al punto di partenza. Roma e la neve. Rimanere immobili alla finestra a fissarla per paura che possa offendersi e quindi smettere. Tornare bambini, tra palle di neve lanciate a tradimento e i pupazzi di neve dalle forme e dai nomi ambigui – che cavolo di nome è Pimpu?. Convincersi sempre di più che non esista un chiodo che schiaccia un altro chiodo, che tale teoria èsia tutt’altro che corretta e che il passare del tempo, in realtà, non curi un bel niente . Non voler accettare la parola rassegnazione nel proprio vocabolario, accumulare dentro di sé parole inespresse e convincersi sempre di più che Era un flirt di cortesia, le era parso, tanto per ammazzare il tempo. Compleanni festeggiati in ritardo, il primo tiramisù preparato da sola, il cacao soffiato sulla tovaglia e sugli astanti e il dubbio sul numero esatto di candeline spente. Il Carnevale, una parrucca rosa e il primo paio di decolleté nere per travestirsi da femmina.

Marzo2012

Marzo
Fare i conti col proprio imbarazzo, sfidarlo e, in un certo senso, vincerlo. Aver voglia di abbracciarlo a due passi dal mare, ma tornare a casa con un freddo dentro a cui difficilmente si può porre rimedio con una coperta o un maglione in più. Sentirsi impreparati all’arrivo imminente della primavera perché ancora intenti a raccogliere i cocci di quella precedente. La pizza bianca panacea di pomeriggi di assenza, magone e occhi lucidi. Parigi sempre presente sotto forme di miniature Ikea di legno e di bigliettidibusbateaumouchesescontrini che sbucano fuori all’improvviso da portafogli e agende. Avere delle domande che rimarranno senza risposta.

Aprile2012

Aprile
Il Salento e i suoi ulivi che la vita non li spezza, un po’ come i pini di Roma cantati da Venditti. Una cartolina da Alicante e dei propositi sul viverci in futuro. Le coincidenze inesorabili, insistenti, sfiancanti. Lo scirocco e uno spritz in riva al mare, con le strade pugliesi che ci insegnano che  “sempre dritto” è la risposta, anche al buio e senza indicazioni stradali. Provare –invano- a farne una filosofia di vita.  Un tiramisù venuto male per colpa della distrazione e per la preoccupazione per qualcosa su cui non aver il controllo. Un tiramisù che è comunque buono perché la famiglia è quel posto dove è buono qualunque cosa tu cucini, in qualsiasi modo tu l’abbia fatto. Avere dentro parole che non sai come esprimere e costringersi a rimanere in un angolino, nonostante il magone e lo stomaco attorcigliato a cui solo il mare può dar sollievo. Roma e il suo Natale, con quei luoghi intrisi di ricordi e di errori del passato, a cui vorresti porre rimedio. E ti appartiene anche se ti fa male. Tu lo sai che lo rivuoi. Riporre la sciarpa nel cassetto in attesa di un nuovo autunno. Passeggiare per le vie romane e ritrovarsi davanti un pezzo di Parigi.

Maggio2012

Maggio
Rinunciare a esibizioni che comunque non ci sarebbero state per andare a camminare sui pezzi di vetro, dimenticando di indossare una gonna. Avere quotidianamente a che fare con un magone costante e opprimente e con un refrain nella testa che non ha intenzione di andar via. Giornate improvvisate e terminate con un “Volevo solo saltargli addosso”. Volevi far di più ma non è facile sai? Con il veleno che ti ho messo in cuore non si sopravvive mai. Serate di aperitivi con cibo deludente, di “i tuoi occhi non mi piacciono” e di ombre lunghe, su pareti a due passi dal Colosseo, grazie ai fanali di una macchina che passava di là per caso.

Giugno2012

Giugno
L’attesa per concerti che non possono iniziare in un modo migliore: Grazie per essere venuti in questo posto di merda. Il ritorno sul luogo del delitto a 11 mesi di distanza e la voglia di vederlo. Una maglia chiara vista da lontano e il rimanere ferma al proprio posto, facendo vincere, una volta tanto, l’orgoglio. Il mio modo vigliacco di restare sperando che ci sia quello che non c’è. Tornare a casa col singhiozzo, gli occhi lucidi e la matita nera sbavata sulle guance, mentre la radio ci ricorda che altri concerti son pronti per te. Riprendersi dalla delusione con pranzi a base di spugne sorridenti. Concerti dove urlare ancora una volta il proprio vaff*****o o dove trovarsi a pogare involontariamente tra adolescenti sudati e alticci. Incontri fortunati in metropolitana con qualcuno che riesce a vedere il sorriso che credevi di aver perso, che ti trasmette una parte della sua immensa gioia di vivere e che, salutandoti, ti ricorda di amare le piccole cose. Gli Europei di calcio, le partite della nazionale in piazza, Se saltelli segna Balotelli, i polpacci andati per il troppo saltare e i bambini, seduti sui sedili posteriori degli scooter guidati dai genitori, che sventolano dei  bandieroni più grandi di loro per festeggiare l’accesso in finale.

Luglio2012

Luglio
La finale degli Europei al Circo Massimo, con gli incivili che ci tengono ad affermare la propria esistenza. L’irrazionalità a farla, ancora una volta, da padrona. La tachicardia, l’apnea, l’insonnia, la scelleratezza e cliccare su invio, mentre fuori il buio lascia il posto alle prime luci del mattino. Il tempo sprecato per essere al meglio, un gelato indigesto, oltre che sciolto sulle mani, e dei minuti a parlare di niente per non parlar di altro. Un senso di inutilità e perdersi tra le strade romane, con la voce rotta al telefono e le lacrime ad allagare gli occhi. Il magone costante e poi … e poi tu che – letteralmente- piombi nella mia cucina e riporti il sorriso sulle mie labbra. Really diventa una delle parole più belle che conosco. L’aeroporto diventa quel brutto luogo dove si è costretti a salutare qualcuno prima dei controlli di sicurezza, prima che un aereo lo/ti porti via.  Sorridere. Tanto, sempre. Sentirmi come se una vagonata di bellezza, delicatezza e attenzioni mi abbia investito all’improvviso, non credere di meritare tutto ciò e aver paura che, prima o poi, sbuchi qualcuno a dire che è tutto uno scherzo. Non parlarne per la paura che tutto si dissolva. La felicità ancora una volta riposta in un biglietto aereo: Eindhoven al posto di Parigi. Rotolare verso Sud, aumentando i chilometri che ci separano.

Agosto2012

Agosto
Salento. Il ritorno a casa ed il mio mare. Rimanere continuamente spiazzata dalla semplicità con cui mi dici le cose, anche quelle importanti. L’inglese diventa più familiare e rendersi conto che la comunicazione tra due persone è molto più diretta e genuina: nessun sottointeso, nessuna allusione, nessun giro di parole e nessuna presa in giro. Fissare il cielo stellato in attesa delle stelle cadenti e aver voglia di averti lì, accanto a me. La distanza no, la distanza non diventa familiare. Il desiderio di farti incontrare il mio mare. Le pipe gelato di quand’eravam piccole e tornare treenni a trent’anni, le spiagge sconosciute, le sagre della sugna e la vocina innocente che, nel bel mezzo di una strada buia e isolata, esclama “Pensa se foriamo qui”. Una birra e uno spritz nel campetto del paesello, a scontare le mazzate per le torture dei mesi passati e a prender in giro il sorriso perenne.

Settembre 2012

Settembre
Preparare, disfare e ri-preparare lo zaino. Puglia – Roma – Eindhoven in meno di 36 ore. Re-incontrarsi in aeroporto e capire che nulla è cambiato. Le case olandesi coi loro tre piani di scala a chiocciola e stretta e i Pay attention che mi ripeti in continuazione per paura che io cada. We have Hulk. Il mio sguardo terrorizzato davanti al tubetto del formaggio fuso e le lezioni di carbonara. Leida e la meridiana vicino al mulino a vento. Den Bosch, la “spiaggia” dove andavi da piccolo e la pace assoluta del bosco vicino casa. De Efteling, la sensazione terrificante di non sentirmi  la terra sotto ai piedi e scoprire da sola che non tutti gli olandesi conoscono l’inglese. Trovarsi, senza capirci granché, nel bel mezzo di una parata militare (storica?) ad Anversa, o Antwerpen come la chiami tu. Una laurea in famiglia e urlare al fioraio che i lilium puzzano e devono stare lontano da me.

Ottobre 2012

Ottobre
Gli aerei e tutte le sfumature di sfiga nel giro di pochi giorni: aeroporti sbagliati, ritardi per maltempo e andar a dormire non sapendo in che parte di Europa ti trovi. Buttarsi in una nuova avventura, un altro impegno a cui tener fede. La tranquillità, difficile da spiegare e talmente naturale da rimanere stupita ogni giorno che passa. Non piangere perché io e te vivremo altre primavere dopo gli inverni. Il tuo profumo sui vestiti lasciati da me.

Novembre2012

Novembre
Un (altro) biglietto aereo e la solita ansia per preparare uno zaino adatto alla Raynair, che – ormai l’abbiam capito – ha trovato qualcuno che ha come scopo l’alimentazione delle sue casse. L’Olanda, il suo freddo pungente e le ore che passan troppo velocemente. Le lettere di cioccolato per Sinterklaas. Amsterdam e i suoi canali, il quartiere a luci rosse e tutte le cose viste senza saper cosa fossero. Beweervijk e il gioco della campana disegnato sul marciapiede. Den Bosch e la sua cattedrale imponente. Cercare invano di imparare qualcosa di olandese, che più che una lingua appare come una via di mezzo tra un conato di vomito e un colpo di tosse.

Dicembre 2012

Dicembre
La vergogna di trovare una birra scaduta in dispensa e la soddisfazione di buttarla nella spazzatura, assieme a tutte le paranoie dei primi mesi dell’anno. Avere ancora delle domande inevase ma non voler più conoscere più le risposte. Le notti insonni son diventate qualcosa di sconosciuto, così come il magone e il piantino. L’orgoglio ricomposto, l’aprire gli occhi e la rabbia per aver permesso di venir presa in giro in tal modo.  Aspettare la fine del mondo preparando biscotti e la tua promessa di raggiungermi a nuoto, nel caso i Maya avessero avuto ragione. La voglia di averti vicino. La distanza, la maledetta distanza. Chiudere di nuovo l’anno con un biglietto aereo in mano e uno zaino da preparare, con la promessa di giorni felici. Avere di nuovo voglia di Parigi.

Basta poco

Non c’era nulla da fare, il cappuccino non lo sapevo proprio fare.
La macchinetta espresso per il caffè era lì nella cucina di casa mia da anni. Spenta, col filo della corrente staccato e inutilizzata, per colpa della ritrosia paterna a bere quel caffè non bollente come quello della moka. Rassegnata ad essere utilizzata poche volte, soltanto ogni tot mesi. In questi (due?) anni, continuavo a fissarla chiedendomi quale cavolo fosse la procedura per fare colazione gustando un cappuccino. E no, vestirsi e andare al bar non era la procedura giusta. Dopo catastrofici e inutili tentativi effettuati qualche mese fa, l’altro giorno ci sono riuscita. Per la prima volta ho girato la manopola giusta e ho fatto colazione con un cappuccino bollente, seppur con qualche scottatura sul dito e qualche schizzo di latte sparso sulle pareti della cucina.
La soluzione era semplice: è bastato leggere il libretto di istruzioni, attentamente, per scoprire dove fosse il mio errore. A volte basta poco. Basta solo un libretto di istruzioni. E quando il libretto di istruzioni non c’è, come nel caso delle relazioni umane, basta avere di fronte qualcuno limpido, semplice, che ti dice le cose come stanno, che non usa sotterfugi, doppi sensi, strategie o giochetti mentali, che, alla lunga, ti sfiniscono e ti sconquassano. Basta poco.

Come with me

Come with me /1

Amsterdam, 2 novembre 2012

Via, via, vieni via con me,
non perderti per niente al mondo…
via, via, non perderti per niente al mondo
lo spettacolo d’arte varia
di uno innamorato di te…
[Paolo Conte, VIA CON ME]

Come with me /2
Roma, 4 novembre 2012

Really

Avevo percorso quelle stesse strade poco illuminate solo una settimana prima. Il viso rigato dalle lacrime e gli occhi gonfi e rossi. La voce, a stento, cercava di dare sfogo alla mia delusione ed al mio dolore. Una voce amica, dall’altra parte del telefono, cercava di interpretare i miei singhiozzi e i miei silenzi e di trovare le parole giuste per dar senso a qualcosa che un senso non aveva. Le gambe avevano voglia soltando di camminare, quasi senza una meta precisa, solo per non dover tornare a casa. La delusione, l’ennesima.
Sette giorni, soltanto sette giorni, e tutto è cambiato. Le stesse strade sembran più belle. Le mani una dentro l’altra a dirsi ci sono, sono qui per te. Un paio di occhiali da sole dimenticato e un abbraccio desiderato da ore, un’inaspettata seconda chance. Pensare di esser finiti all’improvviso in una di quelle serie tv scritte bene, dove è impossibile che succeda proprio quello che sta accadendo. Le parole scritte sulla schiena in attesa dei momenti giusti per esser svelate. I sorrisi: il suo, per il quale non hanno ancora inventato le parole adatte per descriverlo, e il mio, ricomparso dopo mesi e mesi di latitanza e che staziona perennemente sul mio viso da giorni. Due braccia in cui è bello perdersi e che diventano subito a beautiful place where to stay. L’inglese maltrattato e stropicciato dalla sottoscritta. I chilometri, tanti, troppi. La voglia di non addormentarsi per evitare che il giorno della partenza arrivi.  Il suo modo di smettere di seguire cosa stia dicendo perché distratto dall’osservarmi. Gli incantesimi e la fuga del primo momento. Aver voglia di gridare al mondo la propria felicità ma non farlo per paura di rompere tutto ciò che di bello c’è. La paura che prima o poi arrivi qualcuno che dica E’ tutto un gioco, è una candid camera. La sua genuinità e la sua schiettezza nell’esprimere le proprie sensazioni, libero da qualsiasi pippa mentale o da qualsiasi strategia da attuare. Le nostre timidezze. I saluti in aeroporto, i  Jump in, come with me, esclamati di soppiatto indicando la valigia, e i baci in punta di piedi. Scoprirsi giorno dopo giorno sempre più simili. E really  ormai diventata una delle mie parole inglesi preferite. Really.

A simple recipe

Prendi quella cosa che hai in mezzo al petto e mettila nel frullatore. Non c’è bisogno di farla a pezzettoni, lo è già a sufficienza.
Aziona il frullatore e fallo andare a velocità bassa ma costante. Aggiungici a poco a poco tutta la soluzione salina prodotta dai tuoi occhi, i ricordi inutili e un pizzico di malinconia.
Aumenta la velocità del frullatore e lascia andare per altri 30 secondi, fin quando il composto non sarà omogeneo e sufficientemente liquido.
Posiziona il composto nel vuoto lasciato precedentemente in mezzo al petto. Et voilà quella cosa lì, che pensavi non servisse più a nulla, torna a essere utile:  reintegra in un batter d’occhio tutti i liquidi persi col sudore prodotto per colpa di Caronte, Minosse o come si chiama lui.

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